Natale 2020 – L’incarnazione di Dio
La riflessione di quest’anno si concentra su tema dell’incarnazione, che è un dogma della sola religione cristiana. Nessun’altra religione, a mia conoscenza, giunge a Dio che l’uomo e Dio possono incontrarsi così profondamente fino a giungere all’Incarnazione. La stessa tradizione giudaica, che pure prepara la dottrina cristiana, parla dell’uomo come fatto a immagine e somiglianza di Dio, può attribuire a Dio un grande amore per l’uomo fino a giungere all’elezione di un popolo come Israele, che Dio sente come un figlio. E in mezzo a questo popolo Dio può perfino venire ad abitare, nel Tempio di Gerusalemme.
Ma sulla soglia dell’Incarnazione, i fratelli giudei si sono fermati: il Dio Santo d’Israele non poteva giungere a fare una cosa come quella di incarnarsi. La sua santità ne sarebbe stata lesa? Ne sarebbe nato un di-teismo, con un Dio eterno ed un Dio incarnato? In pratica, solo la religione cristiana spinge la capacità di Dio di fare cose impossibili al punto di dire che questo Dio si possa incarnare: preludio per poi giungere a dire che questo Dio possa anche morire per noi uomini! Ma questo mistero, lo terremo per la riflessione pasquale.
Per questo Natale ci limitiamo a sottolineare la portata incredibile di questa verità di fede. Capita spesso che i teologi valutino la sincerità religiosa di un certo gesto o di una certa preghiera: è in fondo il loro lavoro, riconoscere se tale comportamento sia veramente cristiano, ispirato dalla fede oppure no. Ma è un compito certamente arduo, perché il Dio cristiano, proprio in virtù dell’incarnazione, non si lascia rinchiudere in nessuno schema, neppure quello più “puramente teologico”. Perché il teologico, dall’incarnazione di Dio in Gesù, è inscindibilmente legato anche il livello umano. Giustamente, alcune considerazioni vanno fatte e in fondo ogni credente non solo può ma deve interrogarsi sulla qualità teologale del suo gesto. È forse solo una tradizione umana, un’abitudine, una consuetudine (trascinata magari)? Oppure si tratta di qualcosa di ispirato, che avviene grazie a Dio e ad un suo intervento, per quanto semplice? Ciò che ci colpisce, è che il teologo, per quanto abbia questo incarico, non può limitarsi a fare il geometra del “teologico”, a definire i confini (“fin qui il gesto è solamente umano, da qui in poi il gesto può dirsi spirituale”). I gesti di cura per l’uomo e fatti in piena umanità, con quel sentimento umano di condivisione delle sofferenza, della fragilità non possono, dopo l’evento del Natale, non ricordare la stessa umanità di Dio che ha manifestato il suo amore soprattutto con questa stessa empatia, con questo suo desiderio di condividere il tutto dell’uomo, tranne il peccato. Anzi, Gesù, che non ha peccato, è giunto però a condividere perfino la condizione di peccato, nel senso che è stato trattato da peccatore e ha subito poi una morte da infame: la condizione di colpa non è stata motivo di differenza dall’uomo ma occasione perché l’umanità sentisse ancor di più la vicinanza di un Dio che, pur non potendo peccare, ci verrebbe a prendere anche su un patibolo come la croce.
Questo discorso ha come scopo quello di farci scoprire che il compito del cristiano non è valutare con distacco la qualità di un qualunque gesto religioso ma d’immergerci nella nostra umanità per fare di ogni nostra azione una manifestazione della Gloria di Dio, perché nell’uomo Gesù questo è quanto avvenuto. Nell’uomo Gesù ogni gesto dell’uomo ha acquisito una portata teologica: nel suo lavorare, nel suo interagire socialmente, nel suo stringere legami Gesù ha agito da Dio-uomo, insegnandoci che ogni gesto di cura può dirsi umano e divino. E definire il confine, forse, non è sempre così facile od evidente. Forse, più che dividere (azione che fa il Diavolo1, il Divisore) il compito del cristiano è quello di mettere in luce quanto ci sia di divino in ogni gesto umano: in questo modo potremo indicare che la via della fede non è lontana dal cuore di ogni uomo e donna in sincera ricerca.
Per sostenere quanto siano intrecciate le dimensioni umana e divina, riproponiamo, come da diverso tempo, la riflessione del Prologo di Giovanni che su questo punto è potentissima. Ancor oggi tendiamo a leggere il testo in maniera scorretta, dividendo in Logos in due, un Logos pre-incarnato e un Logos post-incarnazione. Mentre questa non è affatto la prospettiva del testo.
Vediamo di partire dal versetto che riteniamo centrale per la comprensione del brano: “E il verbo si fece carne”. Poche frasi nella storia del pensiero mondiale son state così concise e così dense! Il Vangelo ritenuto per anni gnostico, filosofico, quello con l’immagine più divina di Gesù, in verità ha nel suo repertorio, tra le espressioni più note ed importanti, in un punto saliente come il centro del suo Prologo, un totale elogio dell’incarnazione.
Nella complicata ricerca di una struttura dei primi versetti del Quarto Vangelo, scopriamo infatti che il Prologo si può dividere in due parti: quella prima del versetto 14 e l’altra composta dai versetti successivi. La tradizione aveva già notato la centralità del v.14 con il tema dell’incarnazione, proprio perché, nonostante il versetto non si trovi al centro del testo, non si può non riconoscere in quella frase un nuovo punto di partenza del discorso.
Non si tratta però, come proponevano i padri, di operare una secca distinzione tra ‘Logos asarkos’ (Logos non-incarnato) e ‘Logos ensarkos’ (Logos incarnato), come se esistessero due fasi totalmente scisse. Di fatto anche nella prima parte si parla del Gesù della storia e non solo del Logos asarkos. Infatti ci sono dei versetti che già si riferiscono a Giovanni Battista prima di Gv 1,14. Centrale però è il passaggio tra il 3 e il 4 versetto: normalmente si traduce:
“senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita…”
Ma è una traduzione probabilmente scorretta, perché è inutile la ripetizione di “niente è stato fatto di ciò che è stato fatto”; ormai da anni il Nestle-Aland, l’edizione critica del Vangelo, anticipa il punto tra il versetto 3 e il versetto 4. Si ottiene così un primo versetto dove si parla dell’importanza del Logos nella creazione: “tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto / πάντα δι᾽ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν”.
Il versetto 4 allora si configura non come la ripetizione dell’azione creazionale (che per definizione è unica), ma come il dono della vita che Gesù Cristo realizza.
Gv 1,4: ὃ γέγονεν ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων/ciò che fu fatto in lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini.
La semplice attività di creazione non bastava, non è mai bastata, non c’è stata solo una azione da ‘orologiaio’ (perfetto ma distaccato) da parte di Dio, che sarebbe poi intervenuto in un momento più consono inviando il Figlio. In verità il Figlio Gesù da sempre lavora per portare la Vita nel mondo creato. In fondo è questo quanto compiva Dio camminando nel giardino dell’Eden, cercando gli uomini (la prima domanda della Bibbia era, non a caso, “Adamo/Terrestre, Dove sei?”). Questo Dio è da sempre in ricerca dell’uomo e da sempre desideroso di incontrarlo, da sempre dà Vita a ciò che ha creato e già nell’AT questa funzione veniva ricordata assegnandola alla Sapienza.
Così ne parla Sir 24:
«Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo, e come vapore ho ricoperto la terra. Ho abitato nelle altezze del cielo, avevo il trono in una colonna di nubi. Io sola ho fatto il giro del cielo e ho passeggiato nel profondo degli abissi. 6Sui flutti del mare e su tutta la terra, in ogni popolo e nazione avevo dominio. Ciò nonostante ho cercato un luogo di quiete, qualcuno, nel cui podere sostare. Allora il Creatore di tutto mi diede un comando, il mio Creatore mi ha dato una sede (una tenda) per riposare (κατέπαυσεν τὴν σκηνήν μου) e mi ha detto: Metti tenda (κατασκήνωσον) in Giacobbe, sia in Israele la tua eredità.
Questa Sapienza universale dunque, già nella concezione ebraica, aveva cercato un contatto più diretto con un popolo eletto, particolare e cioè il popolo d’Israele.
Il v.14 del Prologo riprenderebbe questa tradizione, come mostra bene l’uso del termine ‘porre la tenda’. Aggiungerebbe però una grande novità: questa Sapienza non è solo uno spirito da sempre attivo nell’uomo e non è neppure soltanto la Legge scesa dal cielo come ritenevano i pii giudei, ma l’incarnazione trasforma Dio che si fa uomo, esposto al soffrire e al gioire, all’amore e all’odio. Già prima il Prologo aveva ribadito il rifiuto opposto dagli uomini: “le tenebre non l’hanno accolto… il mondo non lo riconobbe… i suoi non l’hanno accolto”. Ora che si è fatto semplice uomo, cosa succederà a questo Dio così umano che sarà toccato fin nella carne dall’odio delle sue stesse creature? La sua decisione di incarnarsi lo esporrà fino alla morte di croce, ma proprio lì, nel progetto di Dio Padre, si manifesterà in pienezza il suo amore, e per questo la morte del Figlio sarà la dimostrazione della Gloria di Dio, che ha amato gli uomini fino a quel punto.
In questo senso il Figlio porterà a compimento quell’azione da sempre svolta dal Logos, cioè dare VITA, quella vera, quella eterna, quella che redime la vita ‘naturale’, creata, ma inesistente se non redenta da Gesù Cristo.
Per questo tutto il Vangelo di Gv non farà che presentare la morte di Gesù come la Gloria di Dio, unica fonte di salvezza:
Gv 3,16-17: Dio infatti ha tanto amato il mondo, che ha dato il Figlio suo Unigenito affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Dio infatti non mandò il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.
Gv 8,28: Disse dunque Gesù: «Quando innalzerete il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono e che non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, queste cose dico.
Gv 12,31-32 «Ora c’è il giudizio di questo mondo, ora il principe di questo mondo sarà cacciato fuori. E quando io sarò innalzato da terra, attrarrò tutti a me». Questo lo diceva per indicare di quale morte stava per morire.
La festa del Natale è dunque l’inizio della redenzione della nostra carne. Nella carne, Dio ha voluto che il divino e l’umano potessero incontrarsi. Se questa incontro non è facile né istintivo, non significa che sia impossibile! E in Gesù, Dio Padre ce l’ha manifestato. A Natale siamo invitati a riscoprire come il fluire stesso della vita sia il segno di una salvezza che non deve attendere per forza un paradiso per cominciare a realizzarsi. Il Vangelo ritenuto erroneamente più ‘filosofico’ e più ‘gnostico’ in verità insegna a cercare ORA la Vita Eterna (si pensi a tutte le espressioni usate da Gesù per dire che lui è [e non sarà] fonte di Vita).
1Il nome deriva dal greco δια-βαλλω