Lo scorso 24 ottobre 2019 abbiamo avuto l’onore di ospitare presso il nostro Auditorium il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, per un incontro rivolto ai giovani organizzato da “Molte fedi sotto lo stesso cielo” e “BergamoScienza”. Il Presidente, prima di fare ingresso in Auditorium, ha voluto salutare i ragazzi delle medie del Seminario.
Ecco il video dell’evento e il discorso integrale.
Rivolgo a tutti un saluto di grande cordialità, alle Autorità, particolarmente al Sindaco e, attraverso di lui, a tutti i suoi concittadini. Ringrazio molto per questa accoglienza.
Ho accolto con interesse l’invito rivoltomi dagli organizzatori per questo incontro, invito accompagnato dall’affettuosa insistenza del Senatore Bonalumi. Gli organizzatori che hanno animato queste due importanti rassegne – Molte fedi sotto lo stesso cielo e BergamoScienza – hanno dato vita ad appuntamenti che annualmente si rinnovano in maniera attesa e apprezzata da una vasta platea di attenti partecipanti.
Bergamo, città di solida cultura, di preziosa bellezza riconosciuta dall’Unesco, conferma anche con questa iniziativa la sua proiezione verso il futuro.
Un popolo, quello bergamasco, che ha saputo ritagliarsi un ruolo eminente nella storia del Paese, sin dal Risorgimento.
Poc’anzi ho visitato Kilometro rosso, il parco scientifico e tecnologico dove l’innovazione nasce dalla condivisione di competenze e dalla continua ricerca, ingredienti preziosi della creatività. Un laboratorio di esperienze di eccellenza che rende plastica la visione di quanto intensi e repentini possano essere i cambiamenti nella stagione che stiamo vivendo che, anche per questo, con le sue difficoltà, è affascinante.
La rivoluzione tecnologica ci ha regalato prodigiose conquiste in ogni campo di applicazione, traghettandoci in una nuova era, globale e connessa, che è ormai il vissuto delle giovani generazioni. Per me è una novità; per voi è la condizione vissuta. Un domani che è già nelle loro mani e del quale non dobbiamo avere timore: anzi, va affrontato con slancio propositivo a condizione di avere una visione larga del nostro cammino.
Le epoche si sono succedute, le civiltà sono state spesso definite per un metallo, per una tecnologia, quella del bronzo, quella del ferro… potremmo dire che oggi siamo al silicio.
Sullo sfondo abbiamo il dovere di perseguire una età dell’oro che vorremmo contraddistinta dalla pace, dalla giustizia, dallo sviluppo, dal rispetto della dignità delle persone e dei popoli.
Siamo una umanità che vive una continua transizione tra vecchio e nuovo, secondo il succedersi delle generazioni, a confronto con le prove della storia e non abbiamo, in partenza, oggi come in passato, certezza dell’approdo.
Che siano, oggi, le giovanissime generazioni a percepire più di altri la trasformazione epocale in corso, appare forse persino ovvio e, insieme, straordinario.
Penso al significato dell’ingresso sulla scena mondiale del fenomeno sorto intorno alla testimonianza della giovanissima Greta. È un risultato dell’attivismo al quale si è riferita Marika Bono, quella dimensione dell’impegno che, come si vede, è tutt’altro che avara di risultati, se è vero che i Grandi della Terra hanno accettato di interloquire.
In termini figurati è la vicenda – perenne – descritta dall’apologo della cicala e della formica.
In questo duecentesimo anniversario della poesia L’infinito ci si potrebbe chiedere se suoni familiare la riflessione di Giacomo Leopardi nello Zibaldone, quando pone la questione di Come abitare la natura in un mondo snaturato?
Questo ci hanno ricordato i giovani con le loro manifestazioni nelle piazze del mondo, ricordando a tutti che non è sufficiente l’enunciazione di un’esigenza e la sua rivendicazione perché a questa va affiancato il coerente comportamento di ciascuno nel proprio ambito.
Ci hanno detto: salvate il pianeta ascoltando la scienza.
E non per una “dittatura” dei sapienti sugli incolti ma perché, nel confronto tra “cultura” scientifica e“culture” pseudoscientifiche, a prevalere sul pregiudizio e sul sospetto, talvolta fanatici, devono essere i risultati della ricerca sperimentale, indirizzati al bene delle persone.
Siamo, talvolta, preda della malattia della “opinabilità”, che riduce i fatti ad opinioni, contro ogni evidenza.
Ha ragione Davide Floridi: la scienza, fortemente intrisa di umanità, deve accompagnare le scelte e riuscire a non esaurirsi nella mera affermazione della téchne. Scienza e sapienza tecnica possono, così, proiettarci verso traguardi più alti.
E qui mi colpisce l’abbinamento fatto sul bordo del palcoscenico con libri e piante: è un abbinamento straordinario tra cultura e natura su cui riflettere molto. È un magnifico segnale.
Grandi figure nate nelle città della nostra penisola hanno saputo illustrare magistralmente questo concetto di una scienza che si abbini alla visione complessiva dell’uomo.
Quest’anno ricorre il 500° anniversario della morte di Leonardo da Vinci. Il suo operato è esemplare. Profondissimo uomo di scienza: contemporaneamente, un grande ingegnere e tecnologo, un immenso artista, un uomo di lettere, un umanista completo.
Oggi diremmo un’icona globale.
E così è stato per Galileo Galilei: ho potuto avere qui il dono prezioso della copia di una lettera che si riteneva perduta per sempre e che, invece, è tornata alla luce grazie all’appassionata determinazione di un ricercatore dell’Università di Bergamo, Salvatore Ricciardo, che poc’anzi ho incontrato, insieme al Rettore e al Prof. Giudice, e che, materialmente, ha rinvenuto, negli archivi della Royal Society di Londra, il documento del 1613.
Un ritrovamento di straordinario valore che conferma come la ricerca rappresenti un metodo di conoscenza che sviluppa pensiero critico e sollecita continue revisioni.
Induce a nuovi punti di vista, obbligando a ripensare e a rimettere in discussione quanto fino a quel momento è stato dato per certo e, in tal modo, ci spinge continuamente oltre i perimetri del pensiero conosciuto e accettato.
Ce lo ricorda un grande intellettuale come Pierre Teilhard de Chardin: è destino dell’uomo ritrovare l’essenza della vita nella ricerca, ovvero essere sempre spinti a superare la condizione del presente.
La disponibilità ad aprirsi alla conoscenza – valore in sé – ha anche il potere di abbattere le barriere, di favorire lo scambio tra discipline e culture, di aprire orizzonti, di conoscerci realmente e di riconoscerci, come auspica Federica Fenili, in una causa comune, quella dell’umanità.
La conoscenza scientifica è materia viva, tutt’altro che avulsa dalla realtà, come pretenderebbe dipingerla qualche interessata deformazione caricaturale. Nasce dallo studio, dall’osservazione, dalla riflessione, dalla sperimentazione.
Galileo contribuì non poco alla consapevolezza che il cosmo non ha natura statica bensì è un sistema dinamico. Anche lui, del resto, non fu soltanto un insigne scienziato ma fu anche letterato, filosofo.
La capacità di visione di questi uomini – Leonardo, Galileo, Leopardi – vissuti in epoche diverse, espressione delle culture del loro tempo, ma aperti al progresso, ci deve far riflettere sulla necessità di una conoscenza che non privilegi un approccio frammentario ma, piuttosto, sia in grado di tenere uniti tutti gli elementi che costituiscono la nostra condizione umana.
La nostra conoscenza sia larga e l’orizzonte completo: conoscere per costruire e avanzare; e per sconfiggere le lusinghe del ritorno a divisioni e discordie.
Vorrei ricordare – su questo fronte – Matteo Ravasio, bergamasco, volontario di Africa Tremila, vittima in marzo della sciagura aerea in Kenia, i cui funerali sono stati celebrati oggi nella chiesa di Santo Spirito.
Viviamo spesso la condizione di paradossi laceranti.
Come definire altrimenti le dolorose fratture tra le nuove frontiere dell’innovazione e la riproposizione di antiche piaghe che ancora affliggono la comunità umana: migrazioni forzate, sfruttamento che giunge a pratiche di schiavitù, violazioni di diritti universali, gravi disuguaglianze economiche, disparità di accesso anche alla conoscenza.
Come è possibile, che in un tempo di opportunità così grandi, come mai avvenuto in passato, possano essere tollerate condizioni regressive che sembrano riportare parte dell’umanità in evi lontani?
Dobbiamo sempre domandarci se sia abbastanza presente in noi la consapevolezza della responsabilità delle scelte che compiamo, per l’oggi, certamente, ma soprattutto per il futuro.
Così come è stata ricordata la responsabilità ambientale, nei confronti dei contemporanei ma, soprattutto, delle generazioni a venire, dobbiamo rammentare le responsabilità che investono la condivisione di diritti universali e che faticano a trovare una cittadinanza piena in tante aree del mondo.
La scienza, come strumento di verità e di progresso ci aiuta a superare gli ostacoli, sgretolando i muri che li rappresentano.
La vocazione originaria della scienza, quale strumento di affrancamento dalle schiavitù e dai bisogni dell’essere umano, deve essere affermata con forza.
Perché, diversamente, il senso del nostro progredire rischia di perdersi negli sguardi dei bambini vittime inconsapevoli di conflitti, violenze, sfruttamento; di fronte ai corpi stretti in un ultimo abbraccio di madre e figlio annegati nel Mediterraneo; della morte violenta dell’attivista curda Hevrin Khalaf; di fronte ai malati ai quali è negato l’accesso alle cure in molte parti del nostro mondo, sempre più raccolto, sempre più concretamente comune.
In questa mia breve e intensa visita a Bergamo mi sono recato anche all’Istituto Mario Negri, scelto dall’Agenzia Europea per i medicinali per il monitoraggio dei farmaci in commercio. Si tratta di un centro di eccellenza particolarmente apprezzato per essersi posto all’avanguardia nella realizzazione di farmaci per le malattie rare.
Dobbiamo riflettere su questa missione straordinaria di ricercatori impegnati a curare anche soltanto una singola persona. È il valore della vita rispetto a ragioni di puro profitto.
In questo genere di impegni riscopriamo, ancora una volta, l’umanità della scienza. Nessuno deve sentirsi escluso. L’accesso alle cure non deve essere un diritto negato.
Ricerca e conoscenza sono fondate sul merito.
Premiare il merito significa non limitarsi a tener conto di un valore economico, ma in egual misura riconoscere la dignità dovuta al lavoro e al sacrificio.
Il talento è necessario ma non basta se non è accompagnato dall’impegno.
È la nostra Costituzione, con una sua norma fondamentale all’Art. 3, a stabilire che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana nella vita sociale. È il valore di essere una comunità e di essere realmente un popolo.
La solidarietà, presente nei principi della nostra Costituzione e nei trattati dell’Unione Europea, come collante dello stare insieme in una casa comune che guarda oltre i suoi confini.
Un caposaldo che non può frantumarsi, sul quale costruire ponti verso altri popoli e Paesi perchè l’alternativa, in questa epoca sempre più “planetaria”, è tra l’insorgere di reciproche opposizioni – comunque si camuffino – o l’avvio di relazioni fertili e preziose per tutti.
La conoscenza, il dialogo, la solidarietà, sono la chiave per il superamento di ogni difficoltà.
A voi giovani qui così numerosi, a voi giovani che vi misurate con il sapere scientifico vorrei dire che la scienza e la ricerca, correttamente perseguite, sono intrinsecamente portatrici di democrazia, perché vivono della condivisione dei saperi, dello scambio. Non ammettono separazioni. Superano ogni confine.
Vorrei dire anche che non dobbiamo smarrire mai la finalità di questa impresa, che è il bene comune: gli strumenti sono tramite per raggiungerlo, non sono essi stessi il fine.
Non sono il totem, come talvolta appare essere tentazione di qualche guru delle veloci tecnologie digitali.
È un grave errore scambiare il mezzo per il fine.
Così come è un grande errore non comprendere che le democrazie liberali rischiano di apparire fragili di fronte alla pervasività di domini tecnologici che confondono intelligenza e capacità di calcolo.
La rivoluzione digitale ha profondamente modificato i modelli di convivenza, ma deve essere orientata ad accrescere i diritti di cittadinanza, sociale, politica, economica, tecnologica.
Come ogni nuovo traguardo di progresso, di straordinaria importanza, conseguito dall’umanità, l’innovazione ci ha dato molto, ma va posta l’attenzione a quello che potrebbe sottrarre, incidendo nel corpo più vivo del nostro essere persone, a cui si riconnette una dignità e un insieme di diritti che non vanno messi in discussione. Il divario digitale non può autorizzare divario nei diritti di cittadinanza.
Siamo alla epifania dell’inveramento di ciò che viene definita l’Intelligenza artificiale, strumento da maneggiare con cura, frutto dell’esame di milioni di dati inseriti e della individuazione delle migliori risposte offerte nei diversi casi.
Ma l’intelligenza non può essere disgiunta dalla coscienza e questa dal pensiero umano, che non migra dal supporto biologico del cervello di ciascuno di noi a un chip elettronico.
Oggi, e questo va rilevato positivamente, l’etica inizia a lambire i territori sconosciuti dell’Intelligenza artificiale.
Perché l’uomo moderno non può ignorare il problema dell’impatto dei sistemi intelligenti sul tessuto sociale, economico, culturale, e aggiungerei neurologico, dunque pienamente umano.
Una nuova etica dell’intelligenza artificiale non può che rispondere ad un fondamentale principio: la macchina è uno strumento dell’uomo e sarà l’intelligenza umana sempre e comunque a dover governare e scegliere il proprio destino.
A ben vedere le esigenze vitali degli esseri umani non sono mai mutate dall’inizio della Storia: le persone hanno bisogno di acqua, cibo, di un habitat, e nel novero dei beni immateriali, di dignità, libertà, solidarietà.
Abbiamo il dovere di chiederci se questi beni oggi sono davvero alla portata di tutti.
È questa la chiave di lettura che occorre avere anche quando parliamo di scienza e del suo progresso.
Ogni scoperta, ogni conquista – sempre preziosa – deve essere finalizzata ad accrescere il patrimonio collettivo.
La scienza deve essere amica del futuro dell’umanità e del pianeta.
La promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica è, del resto, norma della nostra Costituzione.
Da parte dei giovani si invoca una nuova primavera, in cui sia possibile sostenere i sogni, i loro sogni, con speranza, coraggio, voglia di fare.
Mi pare questo il senso dell’intervento di Emilio Zubiani. Appena due giorni fa ho auspicato un patto giovani/anziani, un ponte che vada in questa direzione.
Occorre partire , o concludere, da una ferma convinzione, facendo nostra una massima di Kahlil Gibran: Nel cuore di ogni inverno c’è una primavera palpitante e dentro la cortina della notte si nasconde il sorriso dell’alba”.
Quell’alba è dentro di noi. Sta a noi essere artefici del nostro futuro.