Is 50,4-9
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso. È vicino chi mi rende giustizia: chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole?
Giac 2,14-18
A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: «Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede».
Mvc 8,27-35
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno. E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Commento
Gesù per Cesarea di Filippo: come dice il nome, è una città dedicata all’imperatore Cesare e chi è stato in Palestina si ricorderà di questo luogo a nord, rigoglioso (data l’acqua abbondante che proviene dalla vicina montagna del Golan) e dai bellissimi resti archeologici. Si trattava di una città fortemente pagana e l’idea dell’evangelista è probabilmente quella di collegare proprio questo luogo con l’ultimo viaggio che invece Gesù subito dopo questo brano compirà che sarà la sua salita a Gerusalemme. Gesù si presenta così come un uomo aperto all’universale ma radicato anche nella sua terra: sa che la salvezza proviene dal Messia d’Israele, che però non andrà riletto in chiave nazionalista e militare, perché portatore di una salvezza che sarà davvero per tutti.
I commentatori fanno notare come questo brano sia collegato a quello subito precedente, che la liturgia non propone. Tale testo presentava uno strano miracolo: addirittura Gesù fallirebbe nella sua arte medica, non riuscendo a guarire un cieco al primo tentativo, perché quest’uomo invece di vedere subito con chiarezza percepisce invece gli uomini come alberi. L’interpretazione di tale brano è difficile ma una delle spiegazioni è che questo cieco deve affinare con pazienza e calma il suo sguardo (in quel brano ricorrono più varianti del verbo vedere, e precisamente βλέπω, ἀναβλέπω, διαβλέπω, ἐμβλέπω e ὁράω). Questa sollecitazione ci sembra utile perché effettivamente la vicenda del cieco è quella che caratterizza anche Pietro: da un lato, ha una brillante illuminazione, “ci vede bene”, diremmo noi, coglie l’identità di Gesù. Ma la intende male, perché non coglie che il Messia si compie non con la forza e la violenza ma con l’ubbidienza di Gesù al progetto d’amore del Padre che si realizza nel farsi Figlio dell’Uomo, cioè nel condividere in tutto, perfino nella morte, la sorte di ogni uomo. Il Figlio dell’Uomo deve essere pronto a soffrire: ma proprio questo annuncio crea la massima resistenza e Pietro passa dall’averci visto benissimo a commettere l’errore peggiore: volersi sostituire al maestro. Ironicamente, se seguiamo il testo, Gesù gli volta le spalle e gli dice “passa dietro” proprio per ricordargli che il gesto di portarlo in disparte e voler spiegare al Signore come deve fare la salvezza è l’errore peggiore, è seguire una logica opposta a quella di Dio ma solo umana!
La prima lettura ci fa capire cosa sia il progetto di Dio: il profeta di Is 50 infatti di fronte alle minacce che nel corso dei capitoli son diventate sempre più concrete si impegna a lottare fino in fondo, ha già deciso che è pronto a soffrire anche se gli strapperanno la barba o se lo copriranno di sputi e insulti. Nel primo versetto si dice che il Signore gli ha forato l’orecchio e che lui non si è tirato indietro: non si tratta solo di un’immagine per l’ascolto, ma è il rito con il quale uno schiavo chiedeva al suo padrone di non liberarlo, secondo la legge, al sopraggiungere del settimo anno (come prevedeva la bella legge di libertà, tra le più antiche del Pentateuco). Il servo, se amava il padrone e si era trovato bene sotto di lui, poteva chiedere di restare schiavo per sempre, e per questo faceva il rito di forarsi l’orecchio e di mettersi come un orecchino che segnasse la sua appartenenza alla casa del suo padrone.
Questo atteggiamento sembra a noi moderni un po’ servile, ma in una società come quella di allora la schiavitù era invece diffusa e normale. Il testo biblico non difende la schiavitù (anzi, la legge di Dio nasce proprio ricordando che uno non è servo per sempre) ma usa questa immagine di uso comune allora per dire l’ubbidienza a Dio. Il profeta, e così Gesù, non fuggono, non si sottraggono al loro compito, e non lo subiscono in attesa di fuggire. Lo assumono, anche se può sembra un laccio “servile”: in verità stiamo bene solo quando andiamo dietro al vero padrone che è Dio, che ci libera da tutti gli altri idoli. E allora non chiamiamo schiavitù la fede ma la abbracciamo come la vera libertà che ci permette di vivere una vita piena di opere rigogliose, perché scelte e realizzate insieme al Padre, che è sempre con noi.