Am 7,12-15
In quei giorni, Amasìa, [sacerdote di Betel,] disse ad Amos: «Vattene, veggente, ritìrati nella terra di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno». Amos rispose ad Amasìa e disse: «Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomòro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va’, profetizza al mio popolo Israele».
Ef 1,3-10
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia. Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi con ogni sapienza e intelligenza, facendoci conoscere il mistero della sua volontà, secondo la benevolenza che in lui si era proposto per il governo della pienezza dei tempi: ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra.
Mc 6,7-13
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Commento
La missione di Gesù ha appena conosciuto una battuta d’arresto con il rifiuto che lui in persona ha ricevuto nella sua terra natale. Così si concludeva il vangelo di settimana scorsa, con Gesù che ricordava come «nessuno fosse profeta in patria». Eppure questo fallimento non frena l’azione del Nazareno. Nel vangelo di Mc, ogni volta che l’azione di Gesù incontra un ostacolo, in verità ricompare subito dopo un rilancio della medesima, una nuova chance viene aperta. È quanto ritroviamo nel nostro vangelo, con il Maestro che affida la missione ai dodici apostoli. La figura dei dodici era comparsa presto, già in Mc 3, e dice bene come Gesù avesse da subito voluto circondarsi di collaboratori. L’annuncio del vangelo non può essere fatto da soli, proprio perché non si predica una vita da single e non si cerca un riconoscimento o un successo personale nell’opera di evangelizzazione. Per quanto riguarda il nostro brano, poi, fondamentale è il fatto che gli apostoli siano mandati ‘due a due’. D’altronde, la testimonianza di uno solo non era ritenuta valida. E perfino un autore ritenuto ‘pessimista’ come Qohelet in verità trova fondamentale l’amicizia:
« 9 Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. 10 Infatti, se cadono, l’uno rialza l’altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. 11 Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? 12 Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto» (Qo 4).
L’annuncio del vangelo non è dunque costituito da un Gesù che conferisce burocraticamente a qualcuno una missione che costui poi può svolgere singolarmente. Il mandato è affidato alla chiesa e il confronto tra i fratelli, il loro reciproco amore, è fondamentale per riconoscere la qualità veramente evangelica del loro essere missionari. La presenza di Gesù non per questo viene a mancare: è presente nel potere che conferisce loro (al plurale), e lo speciale dono di curare gli spiriti impuri deve essere concepito come una sintesi di ogni potere che Gesù vuole lasciare alla sua chiesa. Proprio perché investiti di tutto questo, i discepoli non hanno bisogno di ricorrere a molto altro: anzi, lo stile di povertà sarebbe la migliore garanzia dell’autenticità del loro annuncio. Mc presenta però due strumenti necessari: il bastone e i sandali. Questi ricordano un’espressione importante dell’AT, quando in Esodo si esortava a mangiare la Pasqua stando però pronti a partire, “cinti ai fianchi, sandali ai piedi e bastone in mano” (Es 12,11). In questo modo viene ricordato anche lo stile pasquale che l’annuncio dei dodici deve avere. Ai discepoli viene raccomandato di prendere la prima ospitalità che trovano: altri vangeli chiariscono l’indicazione dicendo «non andate di casa in casa», non devono cioè trovare una soluzione di comodo dentro la quale stabilirsi. Il pastore è al servizio della missione e non la missione al servizio del pastore.
L’evangelizzazione inoltre è esigente: si presenta un messaggio che non ha tempi infiniti, non è per forza concordista, non cerca il compromesso ad ogni costo. È ammessa anche la possibilità del rifiuto, anzi, questa deve essere messa in conto. Ma bisogna far capire anche che il rifiuto è una cosa seria, e il gesto di scuotere la polvere dai sandali vuole indicare che quella gente ha scelto di star fuori, ha deciso di non avere più nulla da spartire coi missionari cristiani, ai quali non resta che partire. E i dodici partono e non fanno altro che compiere quanto il lettore del vangelo ha già visto fare da Gesù, cioè annunciare il vangelo (si usa lo stesso verbo κηρύσσειν usato in Mc 1 per la predicazione di Giovanni Battista e di Gesù) annunciando la conversione, intesa come un vero cambiamento di mentalità (μετάνοια).
Il bastone che viene citato nel nostro brano di vangelo è un segno identitario della persona (ci sono racconti in cui i personaggi vengono riconosciuti in base al loro bastone, si pensi a Giuda e Tamar in Gen 38) e spesso caratterizza i profeti: infatti Mosè ed Eliseo operano grandi prodigi grazie anche a questo simbolo del loro potere. Questo tema profetico è quello che ci permette di collegarci con la prima lettura.
Lì assistiamo ad uno stile più ‘solitario’, ma ciò non deve affatto smentire la predicazione ‘a due’ del vangelo. La prima lettura fa parte del genere profetico, che è un genere particolare della parola di Dio. Il profeta è un uomo praticamente ‘posseduto’ dalla parola di Dio. Amos parla della parola di Dio come di un ruggito: «Ruggisce il leone: chi non tremerà? Il Signore Dio ha parlato: chi non profeterà?» (Am 3,8). In questo senso, il profeta sente una chiamata tutta particolare, perfino tragica, che lo porta ad una solitudine estrema e ad una lotta continua contro tutto e tutti. Ma il profeta vorrebbe in verità circondarsi di uomini e donne fedeli, il suo unico interesse è spendersi per il popolo, tant’è vero che ne condivide in tutto la sorte (si pensi a Geremia o a Mosè stesso che non entrerà nella Terra Promessa non tanto per il suo peccato ma perché non potrebbe abbandonare il popolo di cui è sempre stato alla guida).
In questo brano, il potere religioso (incarnato dal sacerdote Amasia) cerca di imbonirsi il re cacciando questo profeta scomodo da un santuario regale («questo è il santuario del re ed è il tempio del regno», mentre sarebbe stato più logico e autentico ricordare che un tempio è una casa di Dio!). Nonostante tutti i poteri forti si siano alleati contro di lui, il profeta non cessa, neppure nel rifiuto, di attestare che la parola di Dio è invincibile. Lo è nella storia personale del profeta che, a chi lo caccia, ricorda come lui sia tenuto a predicare al di là di ogni interesse. Amos non era un sacerdote (carica che passava di generazione in generazione), non era un figlio di profeti, faceva tranquillamente tutt’altro nella vita. Ma quando il Signore lo ha preso, la missione è diventata la sua vita ed è diventata tutto per lui.
L’evangelizzazione non nega l’aspetto profetico, che Gesù infatti incarna perfettamente. Ma lo rende più condiviso e meno disperante, perché l’annuncio non è una condanna ma è l’amore di Dio come l’esperienza di Gesù ce lo fa conoscere. E l’annuncio è che il più grande profeta, il solo giusto, è in realtà il Figlio di Dio che ha dato la sua vita per gli uomini. La fatica della missione resta tutta ma la speranza cristiana che dovrebbe guidare i nuovi profeti di Dio dovrebbe essere di una qualità e di una potenza che il Primo Testamento attendeva e ci invidia. Eppure, quanto abbiamo ancora da imparare dagli antichi profeti che della fede in Yhwh avevano fatto il centro della loro vita.