«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7)
Il peccato ha spesso a che vedere con le pietre: il peccatore è riconoscibile dal suo cuore di pietra (Ez 36,26-27), come di pietra sono gli idoli, espressione più alta del tradimento del popolo di fronte a Dio (Lv 26,1). Chi si lascia irretire dal peccato, diventa come un idolo, maledetto e inutile: una statua di pietra. Di pietra, tuttavia, sono anche le Tavole della Legge, che indicano al popolo la strada da seguire per non infrangere l’alleanza (Es 31,18). Di pietra è anche il cortile del Tempio, in cui si trova Gesù, mentre gli scribi e i farisei gli conducono la donna colta in adulterio.
Gesù non risponde alle provocazioni dei dottori della Legge, ma, per ben due volte, si china a scrivere con il dito sulla pietra. Un gesto profetico, ricco ed inesauribile. Dio scrive sulle tavole di pietra con il proprio dito (Es 31,18), ma la Legge viene disattesa ancora prima che Mosè fosse sceso dal Sinai. Ezechiele promette un cuore di carne al posto di un cuore di pietra, dove abiterà per sempre uno spirito di vita (Ez 36,26-28), ma i dottori della Legge parlano ancora di lapidazione. Pietre grosse come un pugno lanciate contro una donna, che per essere stata sorpresa con un altro uomo, doveva morire. Un pugno è grande circa come un cuore. La lapidazione, agli occhi di Gesù, è come tanti cuori di pietra che si scagliano contro un’altra persona, fino alla morte. La legge di Dio, donata nel deserto a Mosè, è tuttavia una legge di vita, non di morte: senza legge il popolo sarebbe allo sbando, non potrebbe mai raggiungere la terra promessa. Qualora la legge di vita di Dio si trasformasse in legge di morte, sarebbe il trionfo del peccato, la vittoria della morte: «Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!» (1Cor 15,55-57).
La lettura disumanizzante della Legge, che ha portato il popolo ad essere ingabbiato in lacci di morte è stata infranta da Gesù: la Legge diventa vera nella Nuova Alleanza, siglata dal dono della vita del Figlio per amore. Evitiamo tutte le interpretazioni che, alla fine, ci fanno dire che il Dio dell’Antico Testamento è un dio vendicativo e fondamentalmente privo d’amore, e il Dio di Gesù Cristo è il dio della misericordia tout court. Sono banalizzazioni che non rispettano assolutamente la rivelazione, non sono fondate sulla Bibbia e pertanto sono false. Il dono della Legge non è stato accolto dal popolo, che ha preferito fissare lo sguardo sulla pietra della tavola piuttosto che sul dito che ha tracciato il messaggio. Il gesto profetico di Gesù di scrivere sulla pietra del cortile del Tempio ci dice che il motivo della Legge è sempre lo stesso, sia sul Sinai, sia a Gerusalemme: l’amore ingiustificato e ingiustificabile di Dio per l’uomo. Anche per il peccatore. Alla peccatrice dice: «Neanche io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più» (Gv 8,11). Al perdono segue la conversione: perché la donna è stata amata a tal punto che la vita le viene risparmiata, diventa capace di relazioni vere, secondo la Legge, secondo l’amore. Ricevere il perdono costruisce un legame ancora più forte della Legge, perché fonda la sua forza su un amore che ha il potere di salvare la vita. Dio ha da sempre cercato di dire e di dare qualcosa di nuovo all’uomo: un mondo nuovo, una legge nuova, un’alleanza nuova, un cuore nuovo, un comandamento nuovo. Novità è vita: per un bambino appena nato, tutto è nuovo. Anche per il cuore perdonato, tutto acquista un volto nuovo: lo stesso Dio, prima visto come un tiranno, diventa un padre, il Padre. Si tratta di lasciarsi amare, esperienza assai difficile, perché chiede una totale fiducia nell’Altro. Lasciarsi conquistare da Cristo (cfr. Fil 3,12) è lasciarsi amare: un cammino lungo, impegnativo, pieno di ostacoli: «so soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la meta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù». (Fil 3,13-14)
d.Alessandro Previtali