Es 14 ed Es 15
In quei giorni, il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il cammino. Tu intanto alza il bastone, stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco, io rendo ostinato il cuore degli Egiziani, così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito, sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri».
L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte.
Allora Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un forte vento d’oriente, rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’asciutto, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono, e tutti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore, dalla colonna di fuoco e di nube, gettò uno sguardo sul campo degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spingerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele, perché il Signore combatte per loro contro gli Egiziani!».
Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani, sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare, sul far del mattino, tornò al suo livello consueto, mentre gli Egiziani, fuggendo, gli si dirigevano contro. Il Signore li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone, che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure uno. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare, mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra.
In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egiziani, e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto, e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè suo servo.
Cantico di Miriam
«Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. È il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio padre: lo voglio esaltare!
Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome. I carri del faraone e il suo esercito li ha scagliati nel mare; i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mar Rosso.
Gli abissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra. La tua destra, Signore, è gloriosa per la potenza, la tua destra, Signore, annienta il nemico.
Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua dimora, Signore, hai preparato, santuario che le tue mani, Signore, hanno fondato. Il Signore regni in eterno e per sempre!»
Isaia
Is 54,5-14
Tuo sposo è il tuo creatore, Signore degli eserciti è il suo nome; tuo redentore è il Santo d’Israele, è chiamato Dio di tutta la terra.
Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, ti ha richiamata il Signore. Viene forse ripudiata la donna sposata in gioventù? – dice il tuo Dio. Per un breve istante ti ho abbandonata, ma ti raccoglierò con immenso amore. In un impeto di collera ti ho nascosto per un poco il mio volto; ma con affetto perenne ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il Signore.
Ora è per me come ai giorni di Noè, quando giurai che non avrei più riversato le acque di Noè sulla terra; così ora giuro di non più adirarmi con te e di non più minacciarti. Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto, né vacillerebbe la mia alleanza di pace, dice il Signore che ti usa misericordia.
Afflitta, percossa dal turbine, sconsolata, ecco io pongo sullo stibio le tue pietre e sugli zaffìri pongo le tue fondamenta.
Farò di rubini la tua merlatura, le tue porte saranno di berilli, tutta la tua cinta sarà di pietre preziose.
Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore, grande sarà la prosperità dei tuoi figli; sarai fondata sulla giustizia. Tieniti lontana dall’oppressione, perché non dovrai temere, dallo spavento, perché non ti si accosterà.
Is 55,1-11
Così dice il Signore: «O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite; comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte. Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi e mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti.
Porgete l’orecchio e venite a me, ascoltate e vivrete. Io stabilirò per voi un’alleanza eterna, i favori assicurati a Davide. Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni.
Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora.
Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocàtelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.
Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri.
Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata».
Commento ai brani dell’AT
I testi presi dal libro dell’Esodo ci permettono di cogliere l’esperienza originaria della fede d’Israele: Dio è un Dio liberatore! Tutti i capitoli precedenti di Esodo hanno messo in confronto Dio con il Faraone: chi è il vero re tra loro due? A chi bisogna ubbidire? Dio si dimostra come l’unico vero re: ma questo richiede che, come tutti i giusti sovrani, sia pronto a combattere per il suo popolo. I capitoli successivi di Esodo (Es 16 con l’episodio della Manna; Es 17 con il dono dell’acqua e la lotta contro gli Amaleciti; Es 18 con la prima struttura di governo per gestire la giustizia sul popolo; Es 19-24 con il dono del decalogo e delle leggi) non saranno altro che lo sviluppo di questa identica tematica: un vero re infatti deve non solo difendere il suo popolo dai nemici esterni ma anche organizzare la vita interna perché non manchino cibo ed acqua e perché poi la giustizia (e la pace) trionfino tra la gente. Ma tutto questo chiede di sconfiggere la follia di un potere dispotico che invece non rinuncia ad un dominio assoluto e totale sui poveri e sugli afflitti: è questa la vicenda che si vuole descrivere dietro la storia del Faraone che giunge a questo scontro mortale perché voleva porsi come un Dio (questa assurda pretesa era divenuta chiara quando, cacciando definitivamente Mosè dalla sua presenza gli aveva detto che non avrebbe più visto il suo volto, altrimenti sarebbe morto1; ma questa impossibilità di vedere il volto era un chiaro riferimento alla divinità di cui non si può vedere la faccia e restare in vita2).
La vittoria di Dio può essere visto come un testo inquietante, data la violenza che Dio esercita uccidendo gli Egiziani: in realtà, con tutte le piaghe, Dio ha cercato di evitare di porsi sullo stesso piano del Faraone che, bisogna ricordarlo, uccideva tutti i bambini maschi degli ebrei, e lo fa per anni e anni, visto che Mosè, salvato dalle acque da bambino, a questo punto della storia è un uomo adulto e maturo. La fine del cap. 14 giustamente sottolinea che Dio ha salvato il suo popolo: la morte degli Egiziani è l’inevitabile conseguenza voluta da chi era pronto con i suoi carri a far strage di un intero popolo. Ma tutta la vicenda non è l’esaltazione di una potenza militare e nazionalistica: il popolo d’Israele non ha nessun vanto, non si è salvato con le proprie forze, ha invece imparato a confidare semplicemente in Dio e, una volta tanto, la fede ha avuto ragione sulla violenza. Il brano ha dunque l’obiettivo di mostrare il vero nome del Dio d’Israele (non bisogna scordare che Esodo è il titolo che noi cristiani diamo al libro, prendendolo dalla traduzione greca, la LXX, ma che per gli ebrei questo testo si chiama ‘Shemot’, cioè ‘Nomi’). E il vero nome di Dio è il tetragramma sacro, da leggere Adonai, mio signore, nome certamente prodigioso, che parla appunto di questo Dio di amore che si lega ad un popolo particolare, lo salva, restando però anche sempre un Dio misterioso, Altro, che non si è mai finito di conoscere. Il brano era iniziato con questa promessa: “conosceranno gli Egiziani che Io (sono) YHWH” (v. 4) e si conclude al v. 31 con la formula “il popolo temette YHWH e credette in YHWH e in Mosè suo servo”. Il popolo impara dunque a vivere della fede in YHWH , questo Dio potente, misericordioso ma anche misterioso.
Questo Dio liberatore è lo stesso che ha anche creato il mondo: in questo brano questa indicazione è chiara perché YHWH non solo combatte contro i carri ma anche è in grado di gestire le acque, immagine del caos primordiale. Si leggano in questa prospettiva i versetti del cantico di Miriam che mostrano appunto come questo Dio sia il più grande di tutti gli dei perché lui solo è il creatore e per questo gestisce il creato come desidera: “8 Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono le onde come un argine, si rappresero gli abissi nel fondo del mare… 10 Soffiasti con il tuo alito: li ricoprì il mare, sprofondarono come piombo in acque profonde. 11 Chi è come te fra gli dèi, Signore? Chi è come te, maestoso in santità, terribile nelle imprese, autore di prodigi? 12 Stendesti la destra: li inghiottì la terra”.
Da Esodo passiamo ai bellissimi testi di Isaia, che sono brani particolari perché chiudono la sezione centrale del libro. Dall’inizio trionfale della nascita del popolo d’Israele si passa a un popolo che è invece stato in esilio, che ha conosciuto la punizione per i suoi peccati. Il Deutero-Isaia, iniziato al cap. 40, si conclude qui al cap. 55 riportato nelle nostre letture (il libro di Isaia poi continuerà con i cap. 56-66) e questi capitoli centrali avevano come obiettivo quello di consolare Israele. Is 40,1 iniziava proprio con gli imperativi: “Consolate, consolate il mio popolo”. E qui al cap. 54 si fornisce una bella spiegazione di questa sofferenza: in realtà Dio non è contro di gli uomini, Dio anzi aveva preso Israele perché era il popolo più piccolo, l’aveva scelto, come una donna abbandonata, una donna che, non potendo avere figli, essendo sterile, era disprezzata, senza prospettive di matrimonio e quindi di vita e di futuro. Dio era intervenuto, l’aveva liberata dalla sua vergogna (fosse quella di non aver figli o quella di essere rimasta vedova, vedi il v.4). Ma questa donna, salvata da Dio, aveva peccato, l’aveva tradito: per questo Dio si era ritirato da lei (ecco un’immagine per tentare di spiegare l’esilio). Eppure Dio non può abbandonare la sua amata per sempre, torna da lei, solo per un istante ci può essere stato questo allontanamento. E Dio promette di non punire più, rifacendosi alla vicenda di Noè. Dopo il diluvio, Dio aveva promesso di non colpire più la terra in modo così devastante e ora, alla stessa maniera, Dio non vuol continuare ad affliggere Israele.
Dall’immagine della donna sposata, Isaia passa poi a quella della città. Non è un passaggio che non possiamo capire: Gerusalemme è la città amata da Dio, sede della sua casa, il Tempio. Ma con questo salto il profeta può ribadire che l’amore di Dio per Israele deve poi realizzarsi in una vita sociale buona, in cui tutti gli uomini tra di loro possono vivere nella giustizia e nella pace. Questo è quanto Dio promette.
Ma saranno solo parole vuote? Ecco il cap. 55: come all’inizio del Deutero-Isaia si era parlato della potenza della Parola di Dio (Is 40,6-83), così anche ora si deve concludere ribadendo che l’unica certezza che il profeta ha a disposizione è la Parola. Una Parola che è la fonte della sapienza: invece di dubitare delle parole di Dio, dobbiamo cercarla come un assetato cerca l’acqua. Disperdiamo energie a cercare mille cose inutili: solo le parole del Signore invece ci portano sazietà. E queste parole sono qualcosa di sostanzioso, qualcosa che dura sempre. Si riprende qui il tema dell’alleanza che avevamo conosciuto prima parlando di Noè: ora Isaia riprende la promessa fatta a Davide di una discendenza che sarà per sempre. E questa promessa, fatta ad un uomo solo, ora invece viene rilanciata ad un popolo intero. Questo Dio dunque non è lontano: a maggior ragione dobbiamo cercarlo! Anche il malvagio può farlo, perché i progetti di Dio sono diversi dai nostri, e chi lo dice che invece di punire Lui presenterà un piano di misericordia?
D’altra parte, Dio resta sempre Altro: pur vicino, è come il cielo, è al di sopra di noi. Ma la sua Parola è il mezzo che ci può sempre mantenere in comunicazione: essa scende come la pioggia, e non resta qui semplicemente sulla terra, ma ci eleva, ci innalza verso questo cielo, proprio come la natura, irrigata dall’acqua, poi si fa più rigogliosa e forte.
La sua parola è efficace, non bisogna mai dubitarne. Possiamo sperimentare su di noi gli effetti della Sua volontà, se però le permettiamo di entrare e di lavorare in noi.
Vangelo della Domenica di Pasqua (B)
Gv 20,1-9
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
Commento
Per comprendere questo brano non possiamo non considerare anche il modo in cui è morto Gesù nel capitolo precedente. In Gv 19 la morte di Gesù è segnata dal suo morire in quanto “Re dei Giudei”. Tutto il processo di fronte a Pilato è su questo tema: Gesù in realtà non era un pericolo per il potere romano e questo Pilato l’aveva capito subito. Ma nel corso del dialogo tra loro due, Gesù mostra tutti gli elementi della sua regalità. Il suo regno per esempio non è di questo mondo. Il vero potere viene dall’alto (Gesù dice a Pilato che anche il suo potere di metterlo a morte è stato ricevuto da qualcun Altro). L’incoronazione di spine e la flagellazione vengono usate per mostrare Gesù come il re dei Giudei, un re certo fragile e debole, ma sempre re. La scritta apposta sulla croce recitava “il Re dei Giudei” nelle tre lingue di allora per dirne l’universalità. Gesù è dunque re. Certo, va spiegato che cosa si intenda per re! Nel modello “ironico” giovanneo tante scene si ribaltano nel loro opposto. Prendiamo come esempio le nozze di Cana: la scena è paradossale, non si parla della sposa, lo sposo è semplicemente citato (ma non parla in prima persona), soltanto si riportano i complimenti a lui fatti dal maestro di tavola per il buon vino portato sul finale del banchetto, vino che in realtà proveniva dal miracolo compiuto da Gesù. Miracolo di cui nessuno si è accorto, se non i servi che si son messi a dispensare vino sebbene avessero riempito le brocche solo di acqua.
Alla stessa maniera Gesù, deriso come re dal potere, è in realtà la figura più regale che esista. È tale perché porta la verità (altra domanda centrale nel dialogo tra Pilato e Gesù e grande tematica che attraversa tutto il vangelo). La verità per Gv è la verità più alta, quella teologale, quella su Dio stesso, di cui Gesù è la massima espressione tanto che si definisce “la via, la verità e la vita”. E quale verità porta Gesù su Dio stesso? Dio è la più grande forza d’amore perché per i suoi figli lui dà tutto. Questo è il senso della vicenda di Gesù. Gesù è il re perché mostra la verità di Dio, che è un padre pronto a dare perfino ciò che ha di più caro, cioè il figlio, per amore dei suoi figli che siamo noi uomini, fatti a sua immagine e somiglianza.
Gesù è il Figlio di Dio perché è l’uomo che ha osato amare come ama Dio, ha assunto il progetto d’amore del Padre e l’ha fatto suo. Un padre, qualunque padre, è pronto a morire per salvare il figlio. Questo deve rimanere assolutamente vero e reale anche nel cristianesimo: troppe volte per sottolineare l’ubbidienza di Gesù si dipinge Dio come un Padre padrone che manderebbe il figlio (a questo punto, poco amato) alla condanna certa. La vicenda di Gesù è diversa: è Gesù che desidera tanto amare come fa il Padre suo celeste da volerlo imitare in tutto e per tutto. Non c’è sottomissione militaresca, come un soldato che ubbidisca ad un generale: nel modello “famigliare”, il Figlio vuole fare ciò che ha imparato nella sua casa, da suo Padre, nell’educazione ricevuta lungo gli anni, giorno per giorno, e mostra di essere veramente Figlio perché, in totale libertà, dona tutto se stesso per quei figli di Dio, ingrati e colpevoli, che costituivano il popolo d’Israele. Come il Padre li aveva amati, così il Figlio decide di amarli e di dare tutto se stesso.
Se volessimo fare un esempio, potremmo “ribaltare” la parabola del Figliol Prodigo. Se Gesù fosse presente in quella parabola, assumerebbe il ruolo del Figlio maggiore ma lo capovolgerebbe. Da figlio amato, che ha imparato l’amore in casa di suo padre, direbbe al Padre di star tranquillo, che sarebbe andato lui a cercare il figlio minore, e così avrebbe fatto. E per quel figlio “spendaccione”, prodigo degli averi del Padre, sarebbe stato pronto anche a morire, ucciso magari da colui per il quale si stava spendendo.
Questa è la storia di Gesù, un figlio primogenito, il maggiore, che però non fa il saputello, non giudica il minore, non fa vanto della sua giustizia ma si mette alla ricerca di chi è perduto per venire a prenderci, non per limitare la nostra libertà ma per insegnarci l’amore del Padre. Questo è il mistero contenuto nella morte di Gesù: la libertà dell’uomo di assecondare totalmente il progetto d’amore di Dio per gli altri.
Ma in una tale vicenda, il Padre non è assente. Come dicevamo prima, ogni padre sarebbe pronto a morire per un figlio. Questo lo si può bene vedere nella storia biblica del re Davide: egli ama il figlio Assalonne, benché questi lo odii tanto da cercare di spodestarlo dal trono. Nonostante tutto il male che Assalonne fa a Davide suo padre, Davide piange la morte del figlio, anzi avrebbe voluto morire lui al suo posto. La morte di un figlio è, per un genitore, già un vero e proprio morire.
In questo senso, nel morire di Gesù, anche Dio Padre muore. È il motivo per cui parliamo del Padre e di Gesù come di un unico Dio (in tre persone ma pur sempre un solo Dio). Dunque, nella vicenda di Gesù, non dovremmo tanto vedere uno sconosciuto che muore per noi senza che nessuno gli abbia chiesto nulla, per un qualche non ben specificato peccato. Né dovremmo vedere Dio come un dittatore che costringe Gesù a fare qualcosa di inutile e incomprensibile.
In realtà, nella vicenda di Croce, possiamo contemplare l’amore di Dio, vissuto realmente tra Dio Padre e Gesù, un amore che li porta ad essere in totale accordo nello spendersi per dei figli ingrati. Che però possono contemplare la bellezza di un amore vero e fedele come quello tra il Padre e il Figlio. Si può vedere come il Figlio dia tutto per il Padre e si può scoprire il Padre come qualcuno che è sempre con il Figlio, che l’ha educato all’amore per tutti, gli ha insegnato a donarsi e ora vede questo insegnamento compiersi. E questo Padre lascia che il Figlio realizzi questa dimostrazione d’amore totale, lo lascia andare, gli permette di fare una cosa così folle come mettersi nei panni dei figli ingrati ma tanto amati, da vivere da uomo e da accettare perfino la morte. E non una morte qualunque ma la morte inflitta da chi era l’oggetto del loro amore.
È quanto riesce a vedere il Discepolo Amato del Vangelo. Vedendo il sudario piegato a parte, capisce che non si tratta di un trafugamento di ladri veloci e bramosi che avrebbero invece arraffato ciò che potevano e avrebbero poi lasciato tutto in disordine. Il Discepolo Amato coglie l’amore che c’è stato tra Dio e Gesù, capisce che Gesù è stato un Re su quella croce, perché ha mostrato che si può amare come ama Dio, nella totale generosità, anche nella risposta ingrata, nel totale affidamento, accettando il completo annullamento di ogni nostra opera. Ma realizzando tutto questo nel “protagonismo” dell’amore, accolto, voluto, testimoniato fino in fondo.
Il sudario è inoltre un rimando a Mosè, che usava coprirsi il volto perché dopo aver parlato con Dio la sua pelle era diventata troppo splendente. Mosè fu il vero re dell’AT perché guidò Israele fino alla terra promessa, intercedette per il popolo dopo il Vitello d’Oro e così cominciò a parlare con Dio faccia a faccia. Ma a maggior ragione Gesù diventa il vero modello del rapporto con Dio, perché più di Mosè seppe intercedere a favore del popolo: si fece lui stesso agnello sacrificale per salvare tutti. E il perdono fu appunto non solo per Israele ma per ogni figlio d’uomo sulla terra. Se nessuno seppe dove era la tomba di Mosè, quella di Gesù invece c’è ma è vuota! Come un guscio rotto, possiamo intuire che lì c’è stato un seme, che lì si è dischiusa una vicenda d’amore, tra Padre e Figlio, che ha vinto le tenebre e la morte per continuare a portare vita intorno a sé.
1 Es 10: 28 Gli rispose dunque il faraone: «Vattene da me! Guàrdati dal ricomparire davanti a me, perché il giorno in cui rivedrai il mio volto, morirai». 29 Mosè disse: «Hai parlato bene: non vedrò più il tuo volto!».
2Es 33: 18 Gli disse: «Mostrami la tua gloria!». 19 Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia». 20 Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». 21 Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22 quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. 23 Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere».
3Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre.