Il brano di At sulla Pentecoste è un episodio noto, che però non va letto da solo, in sé e per sé. In realtà, la lettura vuole richiamare le varie dimensioni veterotestamentarie dello Spirito. La prima immagine per lo Spirito era infatti quella del vento impetuoso, accompagnato da un grande fragore. Evidente è il richiamo a Gen 1,2 dove prima della creazione lo Spirito di Dio aleggiava sulla terra informe e sulle acque. Lo Spirito è il soffio di Dio: basta questo perché il mondo venga ordinato e creato: Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera (Sal 33,6). Ma lo Spirito è anche più della semplice dimensione creazionale: esso ha a che fare direttamente con la vita. Ezechiele deve profetizzare ad un campo di ossa e riesce a rimettere insieme dei corpi a brandelli: ma perché quei cadaveri prendano vita, occorre qualcosa di più, appunto lo Spirito: Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato (Ez 37,8-10).
Nell’immaginario biblico, lo Spirito è anche di più della sfera creazionale e della vita biologica: è alla base della vita di fede, perché i profeti e i giudici d’Israele sono resi tali proprio dallo Spirito di Dio (per esempio, di Otniel si dice: Lo spirito del Signore fu su di lui ed egli fu giudice d’Israele, Gdc 3,10). E se lo Spirito costituisce i singoli servitori di Dio, in realtà forma anche l’assemblea, la comunità d’Israele. E la rende in grado di interiorizzare davvero la legge che altrimenti resterebbe una pratica esteriore opprimente: Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi e vi farò osservare e mettere in pratica le mie norme (Ez 36,24-27)
Ovviamente, lo Spirito trovava pienezza nella figura del Messia, perché in Lui tutte queste dimensioni di vita, potenza e perfezione si realizzavano (Mt 3,13-17; Mc 1,9-11; Lc 3,21-22; Mt 12,28; Lc 4,16-21). Ma scopriamo con il brano di vangelo che invece l’obiettivo di Gesù è che tutti i discepoli ricevano questo dono. Anzi, il suo stesso andarsene, la sua morte di croce, viene considerata dall’evangelista Giovanni come il momento di massima effusione dello Spirito (Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito, Gv 19,30). Gesù ci vuole rendere partecipi di questa potenza di Dio. È quanto ci promette nei passi evangelici proposti dalla liturgia.
Il vangelo di questa domenica di Pentecoste è in realtà composto da versetti diversi del cap.14 di Gv. Sottolineiamo quest’aspetto perché il testo in questione è scandito da due domande, alle quali le due parti del brano vogliono rispondere. I primi due versetti dicono che Gesù, a chi lo ama, regala il suo Spirito. Qui si vuole rispondere alla domanda di Tommaso che chiede: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?(Gv 14,5) e anche alla successiva richiesta: Mostraci il Padre e ci basta (Gv 14,8). Gesù ci dice che la richiesta di incontrare il Padre è sacrosanta ma questo incontro non avviene in maniera diretta; sarà invece mediato dalla presenza dello Spirito.
La seconda parte del nostro Vangelo, invece, vuole allora rispondere alla domanda (omessa dalla liturgia) di Giuda (non l’Iscariota) che suona così: Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo? (Gv 14,22). Il problema dunque sarà quello di spiegare la rivelazione di Dio in Gesù, rivelazione limitata, non sfacciata di fronte al mondo ma regalata solo al popolo d’Israele e alla sua Chiesa.
Prendiamo allora in considerazione la prima parte. L’incontro con Dio Padre richiesto da Tommaso avviene nell’amore che possiamo vivere già ora nel nostro quotidiano. Già lì si può gustare la presenza di Dio. Siccome è Gesù che ci insegna la via verso il Padre, è amando lui che giungiamo a Dio. E “amare Dio” non è un’idea o una pia intenzione: ma è l’atto pratico di realizzare la propria vita secondo i suoi comandamenti. Ma questa dimensione pratica è possibile solo sull’amore di Gesù: egli dunque non è un passaggio eliminabile nel percorso per giungere a Dio. Per questo Gesù esordisce con la frase: “qualora mi amaste, osserverete…”. L’osservanza dei comandamenti è possibile se amiamo Gesù. Questo legame con lui però non è una sua pretesa volta a un dominio sul credente: in realtà Gesù, per coloro che lo amano, ha un progetto di libertà, egli prega infatti il Padre di donar loro direttamente lo Spirito. Questa figura non è uno step successivo e più alto di Gesù o del Padre. Come chiarifica nei versetti successivi, lo Spirito ha la funzione di permettere che Dio e il suo Figlio unigenito abitino per sempre nel credente. È quanto detto con l’espressione “verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. Questa abitazione è resa possibile dallo Spirito che continuerà ad insegnarci tutto quello che Gesù ha fatto e attraverso la memoria del Figlio il nostro amore per lui continuerà a crescere. E con questo amore, crescerà anche il nostro impegno concreto, quello che Gv chiama “osservanza dei comandamenti”. Questa dimensione pratica/etica è fondamentale perché l’amore è qualcosa di concreto, non si esprime tanto con le parole ma con la testimonianza personale.
Questo tema spiega il passaggio alla questione successiva, che è quello della rivelazione di Dio a un piccolo gruppo di discepoli e non una parata pubblica di fronte al mondo. La rivelazione di Dio al mondo non è possibile se non nel quadro dell’amore concreto e sincero di cui parlavamo prima, si realizza solo nella dinamica relazionale e interpersonale diretta con Dio. La conoscenza di Dio non è una cosa teorica. Per questo Dio ha preferito rivelarsi in Gesù! Non manca l’annuncio universale, già posto nella creazione e regalato ad ogni vivente, raccontato in Genesi e ben sintetizzato nel Sal 8:
2 O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!… 4 Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, 5 che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? 6 Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato.
Ma nella storia di Gesù, Dio ha regalato una visione ancora più “originaria” che la Genesi, ha regalato il Logos stesso, cioè il progetto che soggiaceva alla creazione stessa. E questa è una verità che andava vissuta e testimoniata, non bastava fosse vista una volta. In realtà, conoscere Dio significa conoscere il suo amore personale per noi, dunque la manifestazione di Dio è possibile solo a chi ha un rapporto vero e sincero con lui, non con una massa informe di gente disinteressata. Lo Spirito santo è il dono che subentra quando uno acconsente a incontrare il Padre, quando sceglie di entrare in relazione con colui che riconosciamo come la fonte d’amore dalla quale è scaturita la nostra vita. Va dunque al di là di visione mistiche e strani fenomeni estatici: è in realtà il legame d’amore con un Padre che ci ha fatto dono del Figlio e con il quale il credente vuole relazionarsi in maniera costante e fedele, proprio come Lui ha fatto con noi dandosi fino alla morte di Croce